Compiacenza
Nel mio lavoro spesso incontro persone che lamentano il disagio di essere troppo compiacenti, troppo disponibili, di non saper dire di no, di sentirsi in colpa se lo fanno e di conseguenza di tornare spesso sui propri passi.
La compiacenza è una maschera che diventa pesante da portare in quanto non corrisponde al vero sentire.
Di solito frustrazione, rabbia e un senso di non valore sono i sintomi di questa pesantezza e sono anche i sintomi che la maschera del compiacente comincia a diventare pesante, non ha più l’aderenza del passato, l’identificazione si sta scollando.
Più l’identificazione con la maschera è forte, più il comportamento è automatico. Anche se in questa situazione può emergere disagio, di solito viene messo a tacere con compensazioni, convinzioni e giudizi verso se stessi e gli altri.
A mano a mano che la compiacenza si fa pesante da sostenere, il conflitto interno tra dovere e essere diventa più evidente.
Questo conflitto di solito viene percepito come divisione tra due parti contrastanti: una che deve essere compiacente e l’altra che si ribella a questo.
Il primo passo è riconoscere il conflitto. Il secondo passo è riconoscere che il dover essere è sostenuto dal giudice interiore che spinge, in base a canoni imparati dal passato, a comportarsi in un dato modo per essere riconosciuti, per essere visti, appartenere, per paura di perdere l’amore, il contatto, di rimanere soli e di non farcela.
Il terzo passo è difendersi consapevolmente dal giudice e sostenere la propria verità, il proprio sentire cambiando attitudine esterna.
Interrompere un meccanismo di comportamento non è facile, richiede soprattutto assunzione di responsabilità verso se stessi.
La responsabilità vissuta come abilità a rispondere invece che reagire, diventa il focus, l’ancora, il punto di unione con noi stessi che scollega il robot abitudinario che è in noi.
Qualunque meccanismo ripetitivo è una difesa che abbiamo imparato nell’infanzia per sopravvivere, che nel corso del tempo si è affinata. Più lo guardiamo da vicino, più ci rendiamo conto della sua limitazione nel presente.
Il dover essere è l’ipnosi che ci tiene legati al passato, al venire meno a noi stessi per quello che siamo ora. Lo possiamo riconoscere dall’impatto energetico, emozionale, fisico che si presenta con una serie di sintomi di contrazione e tensione, come quando eravamo bambini spauriti costretti ad adattarci.
Da adulti Essere diventa pregnante, è la base del nostro ben-essere, è la possibilità di vivere nella pienezza, nella gioia, di tenere viva la nostra passione, vitalità, curiosità…
Imparare a mettere confini sani ci riporta all’Essere, alla maturità. A volte per dare un confine è necessario una forte assertività, in altre basta un gesto, un semplice No.
L’essere umano può andare oltre la sopravvivenza e entrare nella Vita mettendo se stesso al centro della propria esistenza, dando valore al proprio sentire, al proprio corpo, alla propria energia, alle emozioni e sensazioni, alla propria volontà, riconoscendo che il presente è un campo di possibilità e risorse.
La compiacenza è uno sbilanciamento verso l’esterno, ritornare in asse è tornare a Sé.