Immagine e Spazio
La percezione che abbiamo dello spazio è in stretta relazione alle immagini che abbiamo di noi stessi e al nostro attaccamento ad esse. Il giudice interiore sostiene e consolida la nostra immagine per darci un senso di identità, appartenenza e un’apparente sicurezza.
L’attaccamento/identificazione all’immagine porta con sè la sensazione fisica ed energetica di non avere abbastanza spazio, dentro e fuori. L’attaccamento all’ immagine impedisce l’esperienza del reale nella sua totalità e limita l’esperienza dello Spazio.
Per esempio la credenza di essere timido crea un’immagine interna di me rispetto alla timidezza, fatta di emozioni, sensazioni, difese energetiche, postura del corpo, che diventa un vero e proprio confine. Eviterò situazioni in cui posso espormi, comunicare, entrare in contatto con gli altri e quando mio malgrado mi troverò in tali situazioni, mi sentirò inadeguato, impacciato, chiuso in uno spazio stretto. Se sono attaccato all’immagine di essere forte, eviterò di sentire vulnerabilità e/o di mostrarla. Nel momento in cui la mia vulnerabilità diventasse evidente cercherò di proteggerla, magari con la rabbia, in modo che l’immagine di me forte sia salva.
Qualunque cosa il giudice consideri non accettabile, diventa un confine che protegge la nostra identità, chi crediamo di essere, limitando l’esperienza di noi stessi sia interiore che con gli altri. Più forte è l’attaccamento all’ immagine, più solido è il confine, più sentirò di vivere in uno spazio angusto.
La consapevolezza di quali siano le linee di confine personali ci da anche la consapevolezza delle nostre immagini e dell’attaccamento ad esse. L’ansia ci segnala la linea di confine in quanto l’ansia si manifesta nelle vicinanze del confine. Di solito mettiamo in atto una strategia automatica per sopperire all’ansia (cibo, Tv, fumo, iperattività, sonno…) e per non fare veramente i conti con la limitazione e sofferenza che la mancanza di libertà e di spazio generano.
La difesa consapevole dal giudice ci permette di attraversare il confine, per un momento l’immagine si sgretola e scompare, usciamo da un’abitudine, perdiamo il senso di identità, non sappiamo chi siamo. In tutto questo c’è una dose di rischio che di solito ci fa evitare l’attraversamento del confine per comodità, abitudine, timore. Nello stesso tempo superare le linee di confine, rischiare l’apparente sicurezza, lasciar andare le immagini, è anche una grande possibilità di espansione, creatività, spazio, gioia di essere se stessi, risorse, libertà.
La voglia di rischiare è proporzionale all’intento: più è chiara la direzione interiore di vivere la verità di chi siamo, più siamo disponibili a sfidare confini, a lasciar cadere maschere, a entrare nello sconosciuto presente.
Uscire dalla stretta prospettiva del giudice apre all’esperienza dello Spazio, della nostra Vera Natura, il bisogno di difendere la nostra immagine, come vorrebbe il giudice, cade, immagini e definizione scompaiono lasciando il posto ad una reale esperienza di noi stessi e dello Spazio, percepito come Vuoto, immensamente vasto, privo di contenuto con un senso di pienezza e appagamento.