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Essere Donna: Essere Valore

Giudice interiore, Reiki, Consapevolezza, Transpersonale

Essere Donna: Essere Valore

Nel femminile c’è una ferita profonda, più o meno conscia, che riguarda il valore.
Riconoscere questa ferita ed esporla prima di tutto a noi stesse non è facile per quanto sia necessario. La storia personale e il collettivo hanno generato stereotipi, modelli, condizionamenti che agiscono da filtro all’apertura, sia della ferita, che al riconoscimento del valore che siamo, non solo in quanto donne, bensì come esseri umani che esistono in questo preciso momento.

L’attività del giudice interiore è centrata sull’attacco al nostro valore e la svalorizzazione del femminile è uno dei modi con cui agisce creando una sovrastruttura in più, che si nutre del condizionamento ricevuto nell’infanzia, dalla società e dalle generazioni passate che hanno lasciato tracce di non valore, nella mente collettiva e nella vita personale di noi donne.

Maschere e credenze:

Usiamo molte maschere per nascondere la ferita:

la compiacenza, la seduzione, la vittima, l’assunzione di modalità maschili di comportamento, competitività sia con gli uomini che con le altre donne, castrazione del partner, aggressività, svalutazione del maschile e del femminile, dipendenze.

La maggior parte di queste maschere ci portano all’isolamento o a una ricerca compulsiva del contatto con la conseguente incapacità a stare da sole.

Le credenze che sostengono le maschere o difese che ci mettiamo sono numerose e diverse per ciascuna di noi.

Alcuni esempi:

  • Ce la devo fare da sola;
  • Non sono in grado di farcela da sola;
  • Devo essere forte;
  • Se mostro la mia femminilità verrò considerata debole e sarò rifiutata;
  • Devo avere successo altrimenti fallirò e resterò da sola;
  • Senza un uomo la vita non ha senso;
  • Per essere libera dovrei essere un uomo;
  • Se mostro la mia sensualità mi giudicheranno;
  • Per essere una donna completa devo essere madre.

Queste credenze hanno origine dalla storia personale e dal rapporto con i genitori nell’infanzia e adolescenza, spesso sono così invisibili che l’identificazione con esse è totale.

A volte ciò che mostra la maschera o comincia a sgretolarla è un evento forte che comporta un cambiamento improvviso nella vita, come un lutto, una separazione, una malattia.

Oppure un senso di peso, di disagio, di sforzo, di non essere vere, o un senso di mancanza, non necessariamente definito nel suo contenuto, per cui non sappiamo cosa manca, ma che genera dolore, scontento, frustrazione.

Le donne operate al seno, all’utero, entrano spesso in un vortice di svalutazione, dovuto al cambiamento d’immagine del loro corpo.

Le donne che hanno subito abusi sessuali sperimentano uno strato di vergogna e colpa che inibisce la percezione del corpo e sposta l’attenzione e l’energia in alto, verso la testa, e/o vivono in uno stato di shock dove il senso del proprio valore è smarrito.

Le donne che entrano in menopausa associano questo importante momento della vita a una perdita: di bellezza, di desiderio, vitalità, possibilità di essere attraenti e di valore.

In momenti come questi, o in altre circostanze di difficoltà e disagio, abbiamo modi diversi di reagire. Alcune donne entrano nell’isolamento, si chiudono in se stesse, si irrigidiscono nello sforzo di farcela da sole. Altre donne, all’opposto, reagiscono buttandosi all’esterno, nello shopping a oltranza, nel pettegolezzo, nel super lavoro, la carriera, il fare.

Sono reazioni che operano a favore del nostro giudice interiore e consolidano la sua visione di noi stesse e del mondo. A mio avviso è necessario comprendere quello che mi sembra il denominatore comune di tutte le reazioni: l’allontanamento da chi siamo veramente.

Aprirsi, condividere, confrontarsi con altre donne, trasmetterci informazioni, esperienze, vissuti, può sostenerci nel cambiamento e generare trasformazione nell’amore e nella consapevolezza.

Alcuni esempi.

G. è una donna di circa 50 anni, in seguito a una operazione chirurgica al seno, entra in uno stato di profondo malessere e crisi che dapprima cerca di negare anche a se stessa. Quando decide di chiedere aiuto, in seguito ad un attacco di panico, scopre di non riconoscersi più come donna, di sperimentare un senso di mancanza e un buco di valore che copre con la maschera del “non è mai successo nulla”, “tutto è normale”, evitando di parlare della sua malattia, della chemio alla quale si è sottoposta, e negando la paura di non farcela e di morire.
Nel frattempo nella relazione con il suo compagno l’intimità e il desiderio sessuale sono venuti meno, si vergogna profondamente del cambiamento del suo corpo, sente di aver perso la bellezza.
“Una donna brutta sarà sempre derisa e respinta, non ha valore” dice il suo giudice e per non rischiare di essere rifiutata, è lei stessa che si allontana diventando fredda e distante.
“Il dolore e la vergogna sono così forti che per non sentirli continuo a fare, fare, rinnovo casa e guardaroba, compro cose che non mi servono in un compulsivo tentativo di riempimento, di fatto sono io che mi sento vuota e incompleta”.

L. è una donna di circa 40 anni, casalinga, sposata con due figli.
Scopre che il figlio maggiore di 16 anni, fa uso di droghe. Entra in una profonda crisi che gradualmente si estende al suo rapporto con il marito. Avverte una perdita di senso e depressione che la porta a isolarsi dagli amici, dai suoi interessi che prima erano vivi, a chiudersi in un “guscio nero”, come lei stessa lo definisce.
Quando inizia a riconoscere che il suo giudice è parte fondamentale del suo stato di sofferenza e dell’isolamento nel quale è entrata, diventa consapevole anche di altri elementi.
“Non sono una brava madre” è il suo giudizio di base e si accorge che il confronto con la sorella maggiore contribuisce a rendere questo giudizio reale. Si rende conto che il senso di fallimento in relazione al suo considerarsi una madre inadeguata, è per lei causa di vergogna, colpa e chiusura. Per tanto tempo ha cercato di coprire il suo buco di valore con lo sforzo di essere una brava figlia, moglie e madre.
Inizia il suo cambiamento andando incontro a un sentire più vero, ai propri bisogni ai quali aveva rinunciato relegando se stessa nei ruoli, e soprattutto mettendo il suo valore nella buona riuscita di questi ruoli.
Il dolore per il figlio rimane, sono scomparsi il senso di colpa e l’inadeguatezza.

F. è una donna cresciuta con quattro fratelli maschi e con il desiderio di essere come loro, libera di muoversi, uscire, rientrare senza orari, senza controlli da parte della madre e soprattutto riconosciuta dal padre che lodava le capacità dei fratelli e a suo parere li considerava più di lei. La strategia che ha messo in atto è stata il fare, entrando in competizione prima con i fratelli e poi con gli uomini, per provare a tutti (il padre in particolare) di essere meglio di loro, nascondendo, anche a se stessa, un senso di frustrazione e di paura che prima o poi qualcuno le dicesse: “Non sei abbastanza, del resto sei una femmina, e per tanto debole”. Nel suo percorso di consapevolezza si è accorta di essersi allontanata dalla sua femminilità, di aver fatto l’impossibile per negarla per quel giudizio di debolezza che la metteva nello sforzo continuo per mostrarsi forte, instancabile, sempre in prima linea, superare prove, negare i propri bisogni. E’ stato il suo corpo a darle segnali inequivocabili con una malattia grave. Ha lottato per non ascoltarlo e poi si è arresa. Arrendersi ha voluto dire scollarsi dall’immagine esterna di sé (come voleva essere vista dagli altri), correre il rischio di cambiare abitudini nel campo lavorativo, ammettere che il corpo non poteva reggere certi ritmi, concedersi rilassamento e riposo, prendersi cura di sé. Ha ritrovato un contatto più vero con se stessa, con il suo corpo, con la sua femminilità, sta imparando ad amarsi, la creatività che nella sua vita già era presente fiorisce di nuovi progetti. Sperimenta maggiore solidità e presenza che sono le qualità del Valore.

La mia esperienza: dal non valore al riconoscimento Io sono Valore.
“Donna non si nasce, lo si diventa”.
Questa frase di Simone De Beauvoir mi ha accompagnata sul sentiero di ri-connessione alla mia femminilità e al mio essere Donna.

La mia storia personale contiene elementi di rifiuto, messaggi di svalorizzazione così come è stato per molte altre. Ciò che mi ha sostenuta nel percorso è stato il si radicale ai miei bisogni, al sentire, imparare a stare presente, a rispettare i miei ritmi, dare spazio alla creatività, smettere di fare la vittime di mia madre e di mio padre, fare i conti con le immagini di me che mettevo fuori per essere vista in un certo modo e sentirmi sicura e con le immagini di me più nascoste, più interne che ho trovato cariche di emotività e reattività.

Praticare meditazioni attive, tecniche energetiche di yoga, bioenergetica, sono state una risorsa fondamentale nel processo.

Mi ha sostenuta la disponibilità a rischiare, invece che bloccarmi nel timore di sbagliare, farmi domande che hanno rotto lo status quo del mio giudice interiore, del dare per scontato. Ho imparato a mettere confini sani, a dire si/no nel contatto e rispetto di me stessa, guardando in faccia l’attitudine alla compiacenza che mi portavo appresso. Ho smesso di giudicare i miei limiti.

Ho anche smesso di definire che cos’è il femminile e mi sono aperta alla scoperta del femminile che vivo in me e vedo nelle altre donne, nel suo mistero e complessità.

Non è il sesso biologico che ci fa donne, diventiamo donne crescendo e maturando un senso e un’esperienza che il Valore è qui, non ha a che fare con il riconoscimento che qualcun altro ci può dare o togliere, se non lo sentiamo significa che siamo sotto il dominio del giudice interiore e di tutto ciò che esso rappresenta. Valgo se… viene dopo l’esperienza di Sono Valore che abbiamo vissuto nel grembo di mamma e nei primi mesi di vita. Nessuno e niente può colmare il vuoto di valore se non una presa di coscienza individuale e collettiva che può nascere da una radicale decisione di vivere nel presente, difendersi consapevolmente dal giudice interiore, prestando attenzione al condizionamento che si attiva attraverso giudizi, credenze. Sentire profondamente “Io sono valore” è onorare la forza della vita che scorre dentro, è affermare il diritto ad esistere Ora, è tagliare il cordone ombelicale con il passato e affermare l’autonomia dal conosciuto, è individuazione da modelli e valori, che possiamo lasciar andare se non ci corrispondono o accettare se per noi hanno un senso.

Da qui, per me viene la gioia di essere me stessa, di muovermi nel mondo con curiosità e pienezza, incontrando ciò che arriva con le risorse che si manifestano di volta in volta e spesso mi sorprendono nella loro semplicità e immediatezza.